L’amante che minaccia l’altro di rivelare una relazione clandestina, integra, secondo la Suprema Corte di Cassazione, il reato ex art. 629 di estorsione. La fattispecie criminosa relativa all’estorsione è disciplinata dal codice di rito all’art. 629 dove si stabilisce che “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000“. Per dottrina e giurisprudenza il “fare” è consistito in passato in una prestazione patrimoniale ma casi come quello che qui trattiamo fanno cadere tale principio. Per intenderci ne caso in cui uno dei due amanti di una relazione clandestina volesse chiudere il rapporto, nessuno dei due amanti può minacciare di raccontare l’esistenza della storia al partner ignaro dell’altro allo scopo di mantenere in vita la tresca. Malgrado diversi profili della questione fanno si che la fattispecie da inquadrare sia quella di violenza privata, la Suprema Corte ha sancito che il fatto integra a pieno il reato di estorsione «quando la minaccia sia fatta con lo sco­po di coartare la volontà altrui per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia».  Non si vuole qui entrare nel merito del valore di un rapporto che continua solo perchè supportato da simili presupposti, ma sicuramente la Corte non sbaglia nell’individuare nella condotta dell’agente l’innesco di una situazione che con continuità pone sotto costrizione la sfera dell’amante minacciato.